
Il turismo post Covid rappresenterà per i destination manager un’occasione straordinaria per fare la differenza
Dopo la pandemia, non ripartiremo da dove eravamo rimasti. Nel turismo, come in molti altri ambiti economici e sociali. Si vuol far passare l’idea che siamo stati fermi, invece ci siamo mossi più di prima, perché abbiamo avuto tempo per riflettere su cosa ci serve, cosa funziona e cosa no, cosa è importante e cosa non lo è.
Le persone sono, oggi, più consapevoli dei fattori e dei valori che esprimono la qualità della vita, in particolare quando diventano “turisti”. E riguardo a questi temi si stanno attivando, e si attiveranno ancora di più nei prossimi anni, anche molti amministratori locali.
Rilevo tre fattori per i quali il tempo che abbiamo davanti rappresenta, già oggi, un’occasione che potrà riservare enormi opportunità di lavoro per chi vuole non semplicemente fare, ma piuttosto essere, un destination manager.
I 3 fattori di discontinuità del turismo post Covid
1) Il turismo è cambiato. Si alzerà l’asticella per chi vorrà offrire servizi di ospitalità di qualità, aumenteranno le aspettative di chi potrà tornare in vacanza, il rapporto umano sarà ancora più richiesto. (E ben venga, in quest’ottica, aggiornare le competenze di chi gestisce strutture ricettive, vere e proprie “porte d’ingresso” sul territorio per l’ospite). Crescerà il desiderio-bisogno di ricongiungersi con l’essenziale. In altre parole, di concentrarsi su quanto sia più bello e salutare vivere e viaggiare in modo semplice, dando importanza solo a ciò di cui si ha davvero bisogno, nell’ottica del “meno, ma meglio”. Salute sarà sinonimo di “sano” – come dovranno essere l’ambiente in cui viviamo, il cibo, le relazioni.
2) Non è scontato che i turisti tornino alle stesse mete frequentate prima della pandemia, perché la convivenza con il virus ha aumentato la sensibilità anche nei confronti del fare turismo, da assaporare in modo diverso (come ho illustrato nel punto precedente).
3) Dovrà aumentare la competitività delle destinazioni. È improbabile che una singola struttura ricettiva riesca, da sola, a migliorare il numero di presenze e il tasso d’occupazione. Né che, a questo scopo, sia sufficiente unire le forze di più strutture. Occorrerà intervenire sulla ricchezza variegata delle tante esperienze da vivere in un determinato territorio, affinché divenga complessivamente più competitivo rispetto ad altri. Chi se ne potrà occupare, se non un destination manager?
Un’occasione straordinaria per DMO e Destination manager
Nei prossimi quattro anni i flussi turistici saranno comunque ridotti rispetto al passato e questo farà aumentare la competizione fra territori, come impone la logica di mercato. Come sto verificando nella mia esperienza di destination manager in Sardegna (74 comuni nel Nuorese o Ogliastra), le DMO devono avere un ruolo di sussidiarietà. Non dovrebbero attendere una pandemia per diventare il punto di riferimento per organizzare un buon marketing dei prodotti, ottimizzare il dialogo con gli stakeholder locali, incuriosire e informare diversamente i viaggiatori, gestire in modo più efficace la presenza del visitatore in una destinazione.
Ma chi si occuperà di realizzare tutto questo? Si tratta di strutturare piani formativi per gli operatori economici, ma anche per amministratori (e personale amministrativo) degli enti locali, organizzare l’offerta turistica tracciando le linee di indirizzo per strutture ricettive, fornitori di servizi, artigiani e produttori, acquisire consenso da parte degli operatori economici, che gradualmente si stanno rendendo conto di quanto sia interessante aderire a una DMO. In definitiva, un’occasione straordinaria per i destination manager!
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Andrea Succi